Contributo dell’Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”

alla campagna “Pagine contro la tortura”, per rilanciare e rafforzare la lotta contro la tortura dell’isolamento imposta dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario.

Come Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”, abbiamo aderito alla campagna “pagine contro la tortura”, volta a denunciare e contrastare le recenti censure in tema di libri imposte ai prigionieri sottoposti al regime del 41bis o.p. (ordinamento penitenziario).

Con questo scritto vogliamo contribuire al dibattito e allo sviluppo di una mobilitazione concreta e ampia che sappia coniugare le iniziative contro il 41bis e la logica della differenziazione con la più generale lotta di classe al cui interno vive quella contro il carcere e la repressione.

La limitazione dei libri fa parte di un inasprimento generale sia delle normative carcerarie sia di un complessivo irrigidimento della strategia repressiva sul piano nazionale e su quello internazionale, strettamente legati tra loro. In particolare, l’accelerazione continua, negli ultimi anni, allo sviluppo della guerra imperialista, come estremo tentativo di uscita dalla crisi da parte degli stati borghesi, irrigidisce anche i rapporti politico-sociali interni, rafforzando ancora di più quella tendenza al “diritto di guerra” che già si era configurata dall’11 settembre 2001 in poi, con la cosiddetta “emergenza terrorismo”. Una sorta di guerra interna con sempre nuove misure repressive, figlia anche di indicazioni europee (dall’ultimo decreto Alfano fino al Jobs Act), funzionale a reprimere con più forza ogni opposizione nei posti di lavoro, nei territori, nelle carceri. Una guerra oggi condotta ancora con la propaganda asfissiante del pericolo del “terrorismo” islamista e della difesa della “civiltà democratica”.

In questo clima, la risposta alla lotte è la militarizzazione e il carcere. Chi lotta per difendere un picchetto davanti a una fabbrica, un’occupazione di una casa, o decida di non smobilitare dal suo territorio per impedire l’ennesima costruzione delle “grandi opere” utili solo ai padroni, è costretto a vedersela con cariche della polizia, fermi, arresti, fogli di via, perquisizioni, intercettazioni, processi e condanne.

La repressione agisce sia in modo selettivo, differenziante, mirato, sia, contemporaneamente, allargando le maglie della propria rete. Le accuse diventano sempre più pesanti e si usa il reato di devastazione e saccheggio nei casi di manifestazioni di massa che si esprimono su un terreno di scontro, come è successo quest’anno per la manifestazione antifascista di Cremona o del Primo Maggio contro l’Expo. Oppure si cerca di affibbiare i reati di terrorismo come successo per la lotta No Tav.

L’isolamento carcerario e la differenziazione sono espressione di questa guerra condotta sul fronte interno, utilizzati, in generale, per governare galere che la crisi del sistema capitalista rende sempre più infernali e ingovernabili e, in particolare, come tradizionale arma degli stati borghesi contro i prigionieri politici e rivoluzionari.

Non potevano mancare in questo quadro gli inasprimenti per chi è sottoposto al 41bis, che è al culmine del sistema di differenziazione carceraria.

In Italia, ogni giorno lo stato incarcera decine e decine di proletari e sottoproletari, sfruttati ed emarginati per reati contro il patrimonio, microcriminalità e droga. Nei Centri di Identificazione ed Espulsione vengono reclusi gli immigrati privi di documenti e perciò dichiarati “clandestini”.

All’interno delle galere, oltre alle quotidiane vessazione e pestaggi da parte delle guardie, vige un sistema di controllo basato da un lato sul regime dell’isolamento punitivo – previsto dall’art. 14bis. o.p. -e dall’altro sulla premialità di condizioni, per disarticolare, piegare e corrompere preventivamente ciò che si sviluppa in termini di resistenza da parte del proletariato prigioniero.

I prigionieri rivoluzionari vengono isolati in apposite sezioni, in regime di Alta Sorveglianza, nelle quali finiscono rinchiusi anche i compagni e le compagne incarcerati per la loro partecipazione alle lotte, come è successo ai militanti sotto processo per il sabotaggio di un compressore al cantiere di Chiomonte. È contro questo regime di isolamento che si sono ribellati nel febbraio di quest’anno i compagni anarchici rinchiusi nel carcere di Ferrara.

Sopra il regime di Alta Sorveglianza, al vertice della piramide carceraria, troviamo il 41bis. Strumento inizialmente istituito contro gli esponenti di quelle frazioni della borghesia mafiosa uscite sconfitte dalle varie guerre di mafia, ‘ndrangheta e camorra, e divenuto poi il regime detentivo con il quale lo stato tenta di reprimere quelle aree di illegalità diffusa radicatesi, a fronte di condizioni sociali sempre più dure, in parte del proletariato e sottoproletariato del meridione. Colpire queste aree sociali con l’art. 416bis del Codice Penale (associazione mafiosa) significa condannare centinaia di proletari al 41bis.

Che il 41bis non sia un regime in cui vengono detenuti solo i condannati per i cosiddetti reati di mafia è dimostrato da ormai dieci anni: è dal 2005, infatti, che tre rivoluzionari prigionieri, arrestati per l’inchiesta Biagi e D’Antona, sono continuativamente sottoposti a tale regime di isolamento. Riteniamo doveroso ricordare anche la compagna Diana Blefari Melazzi, arrestata nell’ambito delle medesime inchieste, morta di carcere nel 2009 a seguito di una prolungata detenzione in 41bis.

L’applicazione del 41bis contro i compagni conferma quanto sia duttile e flessibile questo strumento nelle mani dello stato, che assume chiaramente una valenza strategica nell’ambito della controrivoluzione preventiva.

Progressivamente, circolari dell’amministrazione penitenziaria e sentenze della magistratura, da ultimo quella della Cassazione del 16/10/2014, hanno disposto ulteriori restrizioni in tema di censura contro chi è detenuto in tale regime: viene vietato l’acquisto di stampa autorizzata al di fuori del carcere; viene vietato il ricevimento di libri e riviste da parte di familiari; viene vietato l’accumulo di libri in cella (massimo tre, più due riviste e tre giornali); viene vietato lo scambio di libri e riviste tra detenuti; è previsto scrivere lettere solo alle persone con le quali si fanno i colloqui. Per meglio comprendere la portata di questo ennesimo peggioramento delle condizioni di vita dei prigionieri, è utile illustrare in cos’altro consiste questo regime:

  • l’isolamento è previsto per 23 ore al giorno. Quasi sempre i prigionieri vengono reclusi in celle piccolissime, confinate in tunnel sotterranei. L’ora d’aria disponibile è una sola, nella quale sono costretti a muoversi dentro un cortiletto di cemento armato di pochi metri quadri e circondato da alti muri. La socialità prevede la possibilità di incontrare al massimo altri tre prigionieri selezionati dalla direzione del carcere con i quali sono vietati scambi di libri, cibo, vestiti, corrispondenza…
  • una forma di punizione consiste nel divieto di parlare o salutare altri prigionieri;
  • i colloqui, con vetri divisori che impediscono ogni contatto diretto, sono consentiti soltanto con familiari diretti, solo un’ora al mese e sotto il controllo di telecamere e microfoni. Le ore di colloquio perse non sono più recuperabili nel corso dell’anno, ma sostituite con 10 minuti di telefonata;
  • il processo si svolge solo in videoconferenza che impedisce ogni possibilità di difesa diretta;
  • all’interno delle sezioni 41bis l’ordine interno è affidato al Gruppo Operativo Mobile, un corpo scelto di polizia penitenziaria e noto per i pestaggi a Genova nel 2001;
  • anche se il 41bis è già un regime di detenzione speciale, al suo interno sono previste ulteriori aree riservate nelle quali sono detenuti i compagni, allo scopo di aggravarne la condizione di isolamento.

Con il 41bis lo stato persegue l’annientamento dell’identità politica dei compagni e di tutti i prigionieri, tenta di spezzare il rapporto e la comunicazione tra i prigionieri stessi e con l’esterno. Attua una strategia di deterrenza contro chi all’esterno lotta e pone infami condizioni per uscirne ovvero la collaborazione con lo stato. I compagni resistono da anni a questo tentativo mostrando ancora una volta una verità storica: la lotta di classe e rivoluzionaria non si arresta.

Con l’intensificazione della repressione vorrebbero non solo reprimere le lotte attuali, ma anche distruggere la storia e la memoria della lotta di classe e di quella contro il carcere.

La lotta contro la tortura dell’isolamento vive a livello internazionale e la sua storia è lunga ed eroica: molti compagni vi hanno dato la vita: dalla Spagna alla Germania, dalla Turchia all’Irlanda.

L’uso del carcere e dell’isolamento è una pratica storica dell’imperialismo, ma storica è anche la capacità di lotta e resistenza condotta da chi vi è rinchiuso! Lo dimostrano tuttora le carceri del “democratico” occidente, in cui sono rinchiusi rivoluzionari prigionieri come Georges Ibrahim Abdallah, militante comunista libanese che ha sempre rivendicato la sua internità alla causa del popolo palestinese, o Marco Camenisch, rispettivamente rinchiusi nella galere francesi (dal 1984 nel caso di Georges) e svizzere (arrestato in Italia nel 1991 ed estradato in Svizzera nel 2002) . La forte mobilitazione di solidarietà nei loro confronti deve essere per noi un esempio da seguire, poiché essa ha trovato forza quando si è unita ai movimenti che oggi lottano in appoggio alla Resistenza Palestinese o contro la devastazione del territorio.

Anche in Italia è importante riprendere e far conoscere dentro alle iniziative che rientreranno nella campagna “pagine contro la tortura” la storia e le radici di questa lotta e il suo legame a livello internazionale. Negli anni 70, la lotta contro l’art.90 o.p., predecessore del 41bis, è stata forte e vigorosa sia all’interno sia all’esterno delle carceri.

Più recentemente la mobilitazione del 2005 a Biella, contro un analogo provvedimento per la limitazione dei libri attuato dall’allora ministro della giustizia Roberto Castelli, portò al suo ritiro.

E, negli ultimi anni, la lotta si è sviluppata nuovamente nel 2011 passando con un corteo a L’Aquila e, nel 2013, a Parma. In seguito a queste mobilitazioni anche all’interno delle carceri c’è stata una grossa mobilitazione e alcuni prigionieri hanno subito punizioni e ritorsioni: un compagno è attualmente sotto processo.

Riprendiamo con forza la mobilitazione!

Organizziamo, promuoviamo e rilanciamo la solidarietà ai prigionieri che lottano e resistono attraverso iniziative di dibattito e di protesta, portiamo la discussione all’interno delle situazioni di lotta attuali.

No alla censura dei libri!

Contro carcere, 41bis e differenziazione, al fianco di tutti i prigionieri che lottano!

La solidarietà è un’arma, usiamola!

Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”
http://uniticontrolarepressione.noblogs.org
Ottobre 2015

 Per sviluppare iniziative sulla campagna sono disponibili nel blog i seguenti materiali:

  1. l’opuscolo “41bis, sistemi detentivi, carcere duro e isolamento carcerario” a cura dei compagni di Napoli;
  2. il video: “Non c‘è lotta al capitalismo senza lotta contro il carcere Non c’è lotta contro il carcere senza lotta al 41 bis” prodotto dall’Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”;
  3. il volantone: “Non c’è lotta al capitalismo senza lotta contro i carcere non c’è lotta contro il carcere senza lotta contro il 41bis” prodotto dall’Assemblea di lotta “Uniti contro la repressone”;
  4. può anche essere richiesto all’Assemblea l’opuscolo “Il morso del serpente” sulla mobilitazione nelle carceri e contro il carcere del 2013 che si è sviluppata sull’onda della mobilitazione fuori dalle carceri contro l’articolo 41bis.