Contributo da Acad Firenze al presidio davanti al carcere di San Giminiano

Buongiorno!
Aderiamo convintamente e saremo presenti al presidio in solidarietà per i detenuti del carcere di San Gimignano e idealmente a tutti i detenuti e le detenute. Persone che vivono quotidianamente la tortura di atroci condizioni carcerarie e delle restrizioni del 41 bis con l’aggravante dell’isolamento culturale dal non poter ricevere libri. Aderiamo inoltre alla campagna “pagine contro la tortura” e la rilanceremo attraverso le nostre pagine.
Acad Firenze
Pubblichiamo, nello scritto a seguire, il nostro intervento durante il presidio di sabato 26 ott 2019 davanti al carcere di San Gimignano (Si).

Ringraziamo ancora tutte le realtà per essere state presenti a questo importante momento di solidarietà e lotta, con la speranza che sia stato di supporto ai carcerati per non mollare la difficile battaglia di denuncia verso gli abusi subiti.

Nel video un momento dei cori in solidarietà ai detenuti.

Pubblichiamo, nello scritto a seguire, il nostro intervento durante il presidio di sabato 26 davanti al carcere di San Gimignano (Si).Ringraziamo ancora tutte le realtà per essere state presenti a questo importante momento di solidarietà e lotta, con la speranza che sia stato di supporto ai carcerati per non mollare la difficile battaglia di denuncia verso gli abusi subiti. Nel video un momento dei cori in solidarietà ai detenuti. "Un saluto ed un abbraccio a tutti i detenuti da ACAD (Associazione contro gli abusi in divisa).Siamo qui oggi insieme ai compagni e le compagne della "campagna pagine contro la tortura", al CPA Fi sud, Colpol e al Collettivo Antipsichiatrico di Pisa, per gridare e rompere il silenzio agghiacciante che circonda tutti gli abusi del sistema carcerario italiano, dello Stato italiano, delle forze dell’ordine italiane, delle istituzioni tutte.Siamo qui oggi in solidarietà ai detenuti del carcere di San Gimignano e di tutte le altre patrie galere, siamo qui per dire grazie al coraggio di chi ha avuto la forza di denunciare il sistema di abusi e torture di questo penitenziario, che ha portato all’indagine per 15 guardie con la pesante accusa di aver picchiato fino allo svenimento un detenuto. Lui ce l’ha fatta, è sopravvissuto all’incubo del potere che esercita la propria forza coercitiva su di un carcerato inerme, non ce l’hanno fatta i tanti massacrati Stefano Cucchi, i presunti suicidi inscenati dei tanti Stefano Frapporti, o i tanti indotti al suicidio Aldo Scardella, proclamatasi innocenti e morti da innocenti, con la beffa della condanna post-mortem per i veri colpevoli, o i tanti rispediti alla madre senza organi interni svuotati come carne da brace Daniele Franceschi, non ce l’hanno fatta i tanti Aldo Bianzino, quegli strani infarti che solo tra le mani delle forze dell’ordine succedono, con fegati spappolati, milze spappolate, cuori scoppiati, teste aperte e sangue ovunque, come per i tanti Marcello Lonzi , o i tanti Riccardo Boccaletto lasciati morire tra stenti ed anoressia, o i narcotizzati e poi strangolati Mario Scrocca.Siamo qui oggi e in contemporanea anche davanti al carcere di Parma per i tanti Egidio Tiraborelli lasciati morire di cancro, con il rifiuto della concessione dei domiciliari, abbandonato alla morte tra atroci sofferenze a 82 anni, di cui gli ultimi 9 mesi in carcere per il triste reato di solidarietà verso un migrante, con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Siamo qui per i tanti compagni e compagne prigionieri o sotto processo per le battaglie contro questo Stato fatto di abusi e diritti negati, fatto di violenza e repressione, tortura e morte, garantite da un sistema penale malato e servi armati. Siamo qui oggi anche per i troppi massacrati e soffocati nelle nostre Città come Riccardo Magherini, Federico Aldrovandi, Arafet Arfaoui o i torturati nelle caserme come i tanti Giuseppe Uva, o i morti sparati a freddo come i tanti Dino Budroni e Davide Bifolco. Tutti uccisi più volte, dalle forze dell’ordine, dallo Stato, dalla stampa, dall’opinione pubblica, dalla mala giustizia. L’impunità è l’unica loro risposta a tutto questo: assoluzioni, archiviazioni, omertà, depistaggi, insabbiamenti, finte condanne, di uno Stato che seguita a reprimerci e ad autoassolversi nei continui abusi di potere commessi. Uno Stato ostinato nelle sue azioni di “ordine e disciplina” per i carcerati, per gli Ultras, per i poveri, per chi lotta, e ostinato a garantire impunità per i sui sicari fuori e dentro le carceri.Siamo stanchi di sentir parlare di mele marce o casi isolati. La tortura di Stato è ovunque. La divisa è abuso, è prepotenza, è vigliaccheria, è parte integrante di un sistema marcio che inizia con la violenza dei diritti negati e leggi ingiuste, continua con la violenza del suo braccio armato e finisce con le assoluzioni. Il carcere è la fortezza invalicabile degli abusi, è l’emblema di un sistema di controllo sociale e repressione che ha prodotto negli ultimi 19 anni 2.987 morti, di cui 1.090 suicidi.103 morti con 37 suicidi solo nel 2019. PRATICAMENTE TUTTI IMPUNITI.Una lista infinita di tortura e morte. Da sempre il carcere rappresenta lo spazio in cui lo Stato tende a confinare il più lontano possibile dagli occhi della società gli abusi più atroci. La collocazione fisica, fuori e lontano dalla società, rispecchia esattamente quella che, di fatto, è la funzione che viene tacitamente data al carcere e da chi vi opera all’interno: allontanare, emarginare, dimenticare ed annientare.Annientare dentro e fuori, durante le detenzione e anche dopo, al momento del reinserimento nel tessuto sociale. Reinserimento che di fatto, poi, non avviene mai, perché il marchio indelebile dato dal carcere rimane addosso per sempre. Sempre che dal carcere ne esca vivi.Attraverso lo strumento del carcere lo Stato pone in essere ogni misura che possa portare a reprimere e distruggere la persona, e lo fa, non solo privando la persona stessa della libertà fisica e di movimento, ma anche creando all’interno del carcere condizioni tali da rendere impossibile la sopravvivenza: sovraffollamento, condizioni igieniche da epidemie, negazione dei diritti più basilari come quello dell’acqua potabile o delle cure mediche, la somministrazione di psicofarmaci, l’atroce tortura dell’isolamento nel 41 bis come in altri regimi differenziati speciali, il martirio delle celle zero portato alla luce da varie testimonianze di carcerati picchiati e rinchiusi lì dentro per farli “calmare”.Vivere in carcere non è vivere, è sopravvivere in una morte in vita. E troppo spesso morire. In un paese in cui si pensa che la pena di morte sia abolita da secoli, è invece il carcere stesso ad essere pena capitale.Il carcere, infatti, è un microcosmo a parte, INVALICABILE, INCONTROLLABILE SOCIALMENTE, con regole e regolamenti propri, con vessazioni e sopraffazioni interne di cui nessuno al di fuori del carcere sa niente, perché tra le mura penitenziarie tutto resta magistralmente arginato e secretato da quello stesso spirito di corpo che ritroviamo anche nelle forze dell’ordine sulle strade e ovunque.L’abuso commesso all’interno di un carcere è un abuso che raramente emerge all’esterno, proprio perché le alte mura che separano i detenuti dal mondo sono uno dei filtri più potenti ed efficaci che lo Stato ha a disposizione per abusare del proprio fittizio potere rieducativo, per creare ampie frange di esclusione e marginalità sia all’esterno che all’interno del carcere e per esercitare tutto il proprio potere coercitivo.Non è un caso che gli ultimi decreti sicurezza abbiano riproposto vecchi reati del passato, che erano depenalizzati da anni, e che prevedano sempre sistematicamente l’aumento delle pene, in particolare quelle detentive, come strumento repressivo principale. L’obiettivo per queste leggi, è quello di emarginare ed annichilire la persona, e il carcere da sempre è il mezzo più efficace per farlo.In questo clima, e in questo contesto quindi, la conseguenza più immediata è che chi opera in questo microcosmo lontano da tutto e tutti si senta non solo legittimato ad abusare della propria qualifica, ma anche tutelato. Con l' ulteriore, drammatica conseguenza, che di abusi, suicidi e omicidi in carcere, non si parla quasi mai. Che raramente si aprono processi penali a carico di appartenenti alla polizia penitenziaria e che, per omertà e coperture, molto spesso ogni accenno di indagine finisce nel vuoto con le archiviazioni delle Procure.Tutto questo è insopportabile e deve finire. Uniti, detenuti e solidali, dobbiamo portare avanti la lotta contro le carceri, contro la tortura, contro ogni tipo di abuso, contro questo Stato che ci sta facendo affondare in un mare di merda. Agitiamoci fuori per tenere viva la gente dentro, agitatevi dentro per contagiarvi di lotte e speranza, la solidarietà e la connessione tra le varie battaglie è la nostra arma più potente.Acad-OnlusNumero VERDE PER EMERGENZE 800588605MAIL infoacad@inventati.orgIndirizzo postale: A.P.C. Radiosonar.net largo Ferruccio Mencaroni snc Roma"

Julkaissut ACAD Associazione Contro gli Abusi in Divisa – Onlus Maanantaina 28. lokakuuta 2019

“Un saluto ed un abbraccio a tutti i detenuti da ACAD (Associazione contro gli abusi in divisa).

Siamo qui oggi insieme ai compagni e le compagne della “campagna pagine contro la tortura”, al CPA Fi sud, Colpol e al Collettivo Antipsichiatrico di Pisa, per gridare e rompere il silenzio agghiacciante che circonda tutti gli abusi del sistema carcerario italiano, dello Stato italiano, delle forze dell’ordine italiane, delle istituzioni tutte.

Siamo qui oggi in solidarietà ai detenuti del carcere di San Gimignano e di tutte le altre patrie galere, siamo qui per dire grazie al coraggio di chi ha avuto la forza di denunciare il sistema di abusi e torture di questo penitenziario, che ha portato all’indagine per 15 guardie con la pesante accusa di aver picchiato fino allo svenimento un detenuto.

Lui ce l’ha fatta, è sopravvissuto all’incubo del potere che esercita la propria forza coercitiva su di un carcerato inerme, non ce l’hanno fatta i tanti massacrati Stefano Cucchi, i presunti suicidi inscenati dei tanti Stefano Frapporti, o i tanti indotti al suicidio Aldo Scardella, proclamatasi innocenti e morti da innocenti, con la beffa della condanna post-mortem per i veri colpevoli, o i tanti rispediti alla madre senza organi interni svuotati come carne da brace Daniele Franceschi, non ce l’hanno fatta i tanti Aldo Bianzino, quegli strani infarti che solo tra le mani delle forze dell’ordine succedono, con fegati spappolati, milze spappolate, cuori scoppiati, teste aperte e sangue ovunque, come per i tanti Marcello Lonzi , o i tanti Riccardo Boccaletto lasciati morire tra stenti ed anoressia, o i narcotizzati e poi strangolati Mario Scrocca.

Siamo qui oggi e in contemporanea anche davanti al carcere di Parma per i tanti Egidio Tiraborelli lasciati morire di cancro, con il rifiuto della concessione dei domiciliari, abbandonato alla morte tra atroci sofferenze a 82 anni, di cui gli ultimi 9 mesi in carcere per il triste reato di solidarietà verso un migrante, con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
Siamo qui per i tanti compagni e compagne prigionieri o sotto processo per le battaglie contro questo Stato fatto di abusi e diritti negati, fatto di violenza e repressione, tortura e morte, garantite da un sistema penale malato e servi armati.
Siamo qui oggi anche per i troppi massacrati e soffocati nelle nostre Città come Riccardo Magherini, Federico Aldrovandi, Arafet Arfaoui o i torturati nelle caserme come i tanti Giuseppe Uva, o i morti sparati a freddo come i tanti Dino Budroni e Davide Bifolco.

Tutti uccisi più volte, dalle forze dell’ordine, dallo Stato, dalla stampa, dall’opinione pubblica, dalla mala giustizia.

L’impunità è l’unica loro risposta a tutto questo: assoluzioni, archiviazioni, omertà, depistaggi, insabbiamenti, finte condanne, di uno Stato che seguita a reprimerci e ad autoassolversi nei continui abusi di potere commessi.

Uno Stato ostinato nelle sue azioni di “ordine e disciplina” per i carcerati, per gli Ultras, per i poveri, per chi lotta, e ostinato a garantire impunità per i sui sicari fuori e dentro le carceri.

Siamo stanchi di sentir parlare di mele marce o casi isolati. La tortura di Stato è ovunque. La divisa è abuso, è prepotenza, è vigliaccheria, è parte integrante di un sistema marcio che inizia con la violenza dei diritti negati e leggi ingiuste, continua con la violenza del suo braccio armato e finisce con le assoluzioni.

Il carcere è la fortezza invalicabile degli abusi, è l’emblema di un sistema di controllo sociale e repressione che ha prodotto negli ultimi 19 anni 2.987 morti, di cui 1.090 suicidi.
103 morti con 37 suicidi solo nel 2019.
PRATICAMENTE TUTTI IMPUNITI.
Una lista infinita di tortura e morte.

Da sempre il carcere rappresenta lo spazio in cui lo Stato tende a confinare il più lontano possibile dagli occhi della società gli abusi più atroci. La collocazione fisica, fuori e lontano dalla società, rispecchia esattamente quella che, di fatto, è la funzione che viene tacitamente data al carcere e da chi vi opera all’interno: allontanare, emarginare, dimenticare ed annientare.
Annientare dentro e fuori, durante le detenzione e anche dopo, al momento del reinserimento nel tessuto sociale. Reinserimento che di fatto, poi, non avviene mai, perché il marchio indelebile dato dal carcere rimane addosso per sempre.
Sempre che dal carcere ne esca vivi.

Attraverso lo strumento del carcere lo Stato pone in essere ogni misura che possa portare a reprimere e distruggere la persona, e lo fa, non solo privando la persona stessa della libertà fisica e di movimento, ma anche creando all’interno del carcere condizioni tali da rendere impossibile la sopravvivenza: sovraffollamento, condizioni igieniche da epidemie, negazione dei diritti più basilari come quello dell’acqua potabile o delle cure mediche, la somministrazione di psicofarmaci, l’atroce tortura dell’isolamento nel 41 bis come in altri regimi differenziati speciali, il martirio delle celle zero portato alla luce da varie testimonianze di carcerati picchiati e rinchiusi lì dentro per farli “calmare”.

Vivere in carcere non è vivere, è sopravvivere in una morte in vita. E troppo spesso morire. In un paese in cui si pensa che la pena di morte sia abolita da secoli, è invece il carcere stesso ad essere pena capitale.
Il carcere, infatti, è un microcosmo a parte, INVALICABILE, INCONTROLLABILE SOCIALMENTE, con regole e regolamenti propri, con vessazioni e sopraffazioni interne di cui nessuno al di fuori del carcere sa niente, perché tra le mura penitenziarie tutto resta magistralmente arginato e secretato da quello stesso spirito di corpo che ritroviamo anche nelle forze dell’ordine sulle strade e ovunque.

L’abuso commesso all’interno di un carcere è un abuso che raramente emerge all’esterno, proprio perché le alte mura che separano i detenuti dal mondo sono uno dei filtri più potenti ed efficaci che lo Stato ha a disposizione per abusare del proprio fittizio potere rieducativo, per creare ampie frange di esclusione e marginalità sia all’esterno che all’interno del carcere e per esercitare tutto il proprio potere coercitivo.
Non è un caso che gli ultimi decreti sicurezza abbiano riproposto vecchi reati del passato, che erano depenalizzati da anni, e che prevedano sempre sistematicamente l’aumento delle pene, in particolare quelle detentive, come strumento repressivo principale. L’obiettivo per queste leggi, è quello di emarginare ed annichilire la persona, e il carcere da sempre è il mezzo più efficace per farlo.
In questo clima, e in questo contesto quindi, la conseguenza più immediata è che chi opera in questo microcosmo lontano da tutto e tutti si senta non solo legittimato ad abusare della propria qualifica, ma anche tutelato. Con l’ ulteriore, drammatica conseguenza, che di abusi, suicidi e omicidi in carcere, non si parla quasi mai. Che raramente si aprono processi penali a carico di appartenenti alla polizia penitenziaria e che, per omertà e coperture, molto spesso ogni accenno di indagine finisce nel vuoto con le archiviazioni delle Procure.

Tutto questo è insopportabile e deve finire. Uniti, detenuti e solidali, dobbiamo portare avanti la lotta contro le carceri, contro la tortura, contro ogni tipo di abuso, contro questo Stato che ci sta facendo affondare in un mare di merda.

Agitiamoci fuori per tenere viva la gente dentro, agitatevi dentro per contagiarvi di lotte e speranza, la solidarietà e la connessione tra le varie battaglie è la nostra arma più potente.

Acad-Onlus

Numero VERDE PER EMERGENZE 800588605
MAIL infoacad@inventati.org

Indirizzo postale: A.P.C. Radiosonar.net largo Ferruccio Mencaroni snc Roma”

San Gimignano (SI) e Parma: presidi sotto le carceri

Sabato 26 ottobre 2019
 
Presidio al carcere di San Gimignano, contro abusi e torture!
Ore 15, Località Danza Ciucciano 20
Per maggiori informazioni scrivere a info@cpafisud.org
Per chi viene da Firenze ritrovo ore 13 al CPA Firenze Sud, via di villamagna 27/a (bus 3, 8, 23, 31, 32).
Spezziamo quel silenzio di tomba!
A fianco di chi lotta contro il carcere, a fianco dei prigionieri di San Gimignano!
Il 22 settembre scorso i giornali hanno riportato la notizia di un’indagine che vede coinvolte 15 guardie del carcere di San Gimignano, accusate sulla base di testimonianze dirette di avere picchiato un prigioniero con pugni e calci, fino a lasciarlo svenuto a terra. Subito si è levato il coro a difesa della polizia penitenziaria, ed è naturale che sia così: occorreva per l’ennesima volta nascondere all’opinione pubblica quella che è la realtà di un sistema penale e carcerario marcio da cima a fondo!Al massimo si è fatto riferimento alle classiche “mele marce” che non devono guastare il cesto: anche questo un film già visto troppe volte, quando i cosiddetti tutori dell’ordine vanno oltre gli ordinari livelli di impunità e la fanno troppo grossa. In questo caso forse sono stati sbadati e si sono fatti riprendere dalle loro stesse telecamere, altrimenti tutto sarebbe caduto nel silenzio per l’ennesima volta, nonostante le denunce.è molto eloquente, a questo riguardo, che la direzione del carcere e successivamente lo stesso Dap, che sovrintende alle carceri, abbiano negato per mesi, di fronte alle denunce dei prigionieri raccolte da una associazione, che questo pestaggio fosse mai avvenuto, mentre la dottoressa che ha firmato il referto è stata oggetto di intimidazioni.Perché questa è la realtà quotidiana delle galere che si vuole nascondere: violenza e sopraffazione sistematica, che non comincia dai pestaggi ma dalle condizioni invivibili cui sono costretti i prigionieri, vessati da regolamenti inumani e da strutture fatiscenti e sovraffollate. Nello specifico di San Gimignano parliamo di un carcere dove addirittura manca l’acqua potabile e i detenuti sono costretti per bere a comprare l’acqua minerale a proprie spese; di un carcere costruito in mezzo alla campagna, per essere ancora più isolato e nascosto, dove i familiari per fare visita ai propri cari devono organizzarsi con i pulmann. Ma per uno stato sempre pronto ad autoassolversi è tutto nella norma: “a San Gimignano la situazione è accettabile” dice i capo del Dap Basentini.Vogliamo però dire che non esiste un carcere umano e la soluzione non è certo una detenzione a 5 stelle, se mai possibile. Gli abusi e la tortura sono figli legittimi dell’insensatezza della carcerazione e del sistema penale di questo stato. Perché si parla tanto di rieducazione ma ci permettiamo di chiedere: chi dovrebbe essere rieducato? Un gruppo di prigionieri che mette a rischio la propria incolumità per denunciare un sopruso o le guardie che in 15 contro 1 picchiano una persona indifesa perché amministrano un ordine intrinsecamente violento e ingiusto, che umilia, tortura e uccide quotidianamente (già 98 morti quest’anno)? O non dovrebbe piuttosto essere rieducata una classe dirigente che nasconde tutto questo perché è troppo interessata a dare in pasto al popolo il mostro di turno per indirizzare in altra direzione lo scontento e la potenziale rabbia popolare che potrebbero rivolgersi contro se stessa? Vogliamo rimarcare che i pestaggi, a S. Gimignano come nelle altre carceri, rappresentano la ordinaria sanzione, da parte delle guardie, di una insubordinazione rispetto all’ordine costituito. In queste mesi le proteste contro gli abusi delle direzioni degli istituti e della polizia penitenziaria si sono moltiplicate: Napoli, Trento, Perugia, Palmi, Reggio Emilia, Campobasso solo per citare le più recenti. Non è quindi un caso che Salvini, l’uomo dei “decreti sicurezza” che ha fatto della violenza armata del potere la sua bandiera politica, abbia solidarizzato con le guardie sotto indagine andando sotto il carcere.Una visita atta a sbandierare l’impunità di cui le forze della repressione ritengono di dover godere in questo sistema, impunità che fa sì che si possa entrare sulle nostre gambe all’interno di una questura o di una galera per uscirne dentro una bara. Ma fortunatamente la visita di Salvini ha visto una pronta e significativa reazione da parte dei prigionieri che hanno protestato rumorosamente.In questo momento riteniamo sia di fondamentale importanza portare tutta la solidarietà possibile ai detenuti di San Gimignano. Per questo sabato 26 ottobre andremo sotto le mura di quel carcere, in contemporanea con il presidio che si svolgerà sotto il carcere di Parma per ricordare Egidio Tiraborrelli, operaio in pensione ucciso a 82 anni, dopo essere stato condannato in contumacia per favoreggiamento dell’immigrazione.Pur gravemente malato, gli sono stati rifiutati i domiciliari e così è uscito dal carcere solo per andare nell’ospedale dove alla fine è deceduto. Lo faremo contro l’inferno dei cosiddetti “regimi differenziati”. Contro, cioè, le sezioni di 41bis in cui i prigionieri sono sottoposti ad un trattamento che costituisce una vera e propria tortura. Contro quelle di Alta Sicurezza (AS) in cui si isolano le persone detenute dal resto della popolazione carceraria.Lo faremo in solidarietà con tutt@ i compagn@ che si ritrovano prigionieri o sotto processo per le lotte contro questo stato che violenta, tortura e uccide ogni giorno attraverso i suoi servi. Lo faremo perché riteniamo che la lotta contro le carceri, dentro e fuori le mura, sia un tassello fondamentale della rivolta contro l’esistente, e che la solidarietà resti sempre la nostra migliore arma.
CAMPAGNA “PAGINE CONTRO LA TORTURA”

Napoli: presentazione del libro “L’inferno dei regimi differenziati” di Alessio Attanasio

Presso Lo Spazio 76A in Via Ventaglieri 76A ore 19,00                           Presentazione del libro:
L’INFERNO DEI REGIMI DIFFERENZIATI
(41-bis, aree riservate, 14-bis, AS)
                    “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”
di ALESSIO ATTANASIO                                                                                                                                  La testimonianza di Alessio Attanasio colpisce come un pugno allo stomaco, raffigurando senza retorica la quotidianità del “41” all’interno di una analisi delle complesse coordinate giuridiche di riferimento. Sin dalla prima lettura ci si trova di fronte a pagine che paiono giungere dai gulag, quei luoghi infami, impermeabili alla società civile: celle senza luce naturale; “passeggi” di un’ ora al giorno (contro le tre di Guantanamo), tra mura ricoperte di muschio; detenuti, come ci dice l’Autore, dal “colorito cadaverico a dir poco impressionante”.

CENA A SEGUIRE

L’Aquila: contributo di Nadia Lioce allo sciopero della fame di Anna e Silvia

Questo è un documento scritto da Nadia Lioce, inviato al Direttore del Carcere de L’Aquila e, per conoscenza, al Magistrato di Sorveglianza de L’Aquila e al Garante Nazionale dei detenuti, attraverso il quale comunica che il giorno 18/06/2019 ha iniziato una battitura quotidiana di 20 minuti, in solidarietà allo sciopero della fame di Anna e Silvia.
Un comunicato che con determinazione e coraggio denuncia, ancora una volta, la funzione del 41bis di annichilimento della persona e della sua dignità e del tentativo, da parte dello Stato, di estenderlo al resto delle sezioni, in particolare a quelle di Alta Sicurezza.
Lo diffondiamo condividendone l’analisi e riconoscendone la combattività e la tenacia.
Il 9 luglio, dalle 15:00, saremo davanti il carcere di L’Aquila al fianco di chi lotta.

Al Direttore del carcere de L’Aquila

per conoscenza al
– Magistrato di Sorveglianza de L’Aquila
– Garante Nazionale dei Detenuti

Da Nadia Lioce, detenuta in 41bis

Il 18 giugno 2019 alle ore 12:00 ho iniziato una battitura di venti minuti al giorno delle sbarre della finestra della camera detentiva come gesto di solidarietà e condivisione della protesta attuata con sciopero della fame dal 29/05/2019 da due detenute, anarchiche, della “sezione gialla” del carcere de L’Aquila attualmente classificata AS2 femminile.

La protesta è contro il regime del 41bis e la pressione permanente che esercita sul prigioniero, innanzitutto tramite la segregazione, e poi con tutto ciò che essa rende possibile praticare all’Amministrazione Penitenziaria in termini afflittivi/punitivi.
Pressione che, nel vantaggio politico ottenuto dal DAP con quelle sentenze della Magistratura che vanno sottraendo le misure restrittive e di azzeramento delle libertà residue dei detenuti a 41bis al controllo giurisdizionale, si sta estendendo anche a settori di alta sicurezza, quale la sezione gialla, riclassificata AS2 alla sua riapertura nel febbraio del 2018.
Una sezione decenni prima adibita ad area di isolamento del reparto femminile, poi chiuso; rimessa in funzione quando il Ministero nel 2005 decise di dislocarvi le “politiche” sottoposte a 41bis e che fu chiusa nuovamente a fine 2012, quando il 41bis femminile fu trasferito in reparto.
Essendo stata in origine area di isolamento l’attuale AS2 femminile è una sezione particolarmente angusta, vi possono essere detenute soltanto quattro prigioniere in altrettante celle, e quelle ora presenti sono vigilate da personale GOM come lo sono i detenuti in 41bis.
Infatti il tipo di segregazione a cui soggiacciono è simile a quanto prevede il regime speciale.
Diverso per numero e modalità di colloqui, telefonate e ore d’aria, non lo è affatto invece sia per esiguità di rapporti sociali, essendo presenti tutt’al più tante detenute quante costituiscono il tetto massimo del “gruppo di segregazione” con cui in 41bis dal 2009 è stata normalizzata l’ “area riservata” a suo tempo stigmatizzata dalla CEDU, sia per le misure di regolamentazione della vita quotidiana che sono in gran parte le stesse del “carcere duro”, motivo per cui alla vigilanza è deputato il GOM.
Limitazioni di stampa, pretese di censura della corrispondenza, rapporti disciplinari ad ogni sciocchezza, e tutto il resto, sono espressioni dello spirito del 41bis, di sospensione di tutti quegli ordinari diritti e facoltà del detenuto dei circuiti comune/alta sicurezza, almeno per quel tempo occorrente all’iter giudiziario di un ricorso che – eventualmente – disponga diversamente e per il quale di norma occorrono anni, non giorni, saturata com’è l’agibilità delle prime istanze giudiziarie di garanzia con la creazione da parte dell’Amministrazione di innumerevoli ragioni di reclamo, con ovvio pregiudizio dell’effettività della tutela giurisdizionale.
Anche la “sterilizzazione” del tempo trascorso insieme agli altri ai passeggi, con ciò intendendo l’impossibilità di recare con sé un libro, un giornale, un caffè, qualunque cosa che possa fare da materiale di una socializzazione concreta tra esseri umani civilizzati, è tipica della condizione di prigionia in 41bis.
Lo stato estremo di segregazione che caratterizza la vita del detenuto in 41bis, un’ipotesi – ad oggi – per sempre, è stato nella “sezione gialla” generalizzato anche alla condizione del detenuto ad alta sicurezza.
La logica segregativa e punitivo/afflittiva, volta ad esercitare una pressione costante e crescente sul nemico da sottomettere o annichilire, è uscita dalla originaria eccezionalità ed emergenzialità del 41bis che l’aveva fatta apparire plausibile a suo tempo ed è diventata dapprima perpetua e, avendo sempre rappresentato l’istanza eminentemente politica che la muove, fin dalla definizione di “carcere duro” comunemente adottata e sbandierata ma anche nelle motivazioni di deterrenza verso il referente sociale dei militanti BR e rivoluzionari prigionieri, contenute nei loro decreti di 41bis, si è insinuata nel circuito dell’alta sicurezza e perfino in quello comune, come dimostrano anche recenti proteste e addirittura rivolte provocate dalla direttiva DAP di spegnimento delle televisioni a mezzanotte che generalizza quanto dispose in merito il regolamento del DAP del 2017 per il 41bis.
Né del resto poteva essere diversamente una volta legiferato, e legittimato, che il 41bis potesse essere un trattamento perpetuo in assenza di collaborazione; implicare divieti di parlare al di fuori del gruppo di segregazione – tale diventato di fatto e di diritto – e prevedendo che chi faccia comunicare un detenuto in 41bis con “l’esterno”, a prescindere dalla “reità” del contenuto della comunicazione, sia penalmente sanzionabile.
L’ultimo tassello necessario era quello di ottenere il vantaggio di alcuni riconoscimenti giudiziari alla pretesa dell’Amministrazione di sottrarsi al controllo giurisdizionale, se esso non si adatta a restituire mera legittimazione della sua arbitrarietà, così da garantirsi, in ipotesi il regime speciale in sé dovesse decadere in generale o per il singolo, che la sua sostanza rimanga impregiudicata e faccia da modello di un ordinamento penitenziario libero da vincoli di un sistema giuridico di tipo costituzionale.
In un carcere come quello de L’Aquila che secondo la relazione del Garante dei detenuti del 2019 si pregia del primato delle sanzioni disciplinari irrogate – il 74% del totale degli undici reparti di 41bis del paese -, cioè è il carcere duro più duro di tutti, l’istituzione dell’unica sezione AS2 femminile e, prima di essa, della sezione 41bis femminile a cui furono assegnate le “politiche”, può apparire persino una scelta con un profilo anche di misoginia, aspetto che sempre integra un quadro culturale-sociale retrogrado quale quello che è invalso e si è andato strutturando in ambito penitenziario eppure in generale nel paese negli ultimi decenni. Un aspetto però eventualmente del tutto secondario rispetto al contesto più complessivo che inevitabilmente ha condotto, e va da sé continuerà a condurre, a resistenze di ogni tipo, spesso estreme per qualche verso, come lo sono le condizioni detentive a cui siamo sottoposti.
La segregazione che ci è imposta del resto attacca l’integrità della persona che sociale lo è in se stessa non circostanzialmente, ne suscita perciò una resistenza a propria difesa proporzionale al sopravvivere.
Condividere questa condizione fa sì che la resistenza di Anna e Silvia sia anche la mia come di altri detenuti e che sia interesse di ognuno che l’AS2 femminile de L’Aquila venga chiusa e venga messo termine a ciò che rappresenta.

L’Aquila, 25/06/19

Torino: report assemblea pagine contro la tortura 9/06/2019

REPORT ASSEMBLEA

– Si è sottolineata l’importanza di partecipare ai processi in video-conferenza dei prigionieri e delle prigioniere in AS2 e 41 bis; questo anche per aumentare le possibilità di comunicare con loro o avere informazioni tramite gli avvocati.

– In generale, anche rispetto a comunicare “all’esterno” (alla parte più sensibile della società) si è data rilevanza alla possibilità di partecipare al processo di ottobre a Roma sul presidio al DAP.

– C’è stata una discussione sul fatto di ricalibrare gli obbiettivi della Campagna: da una parte nel senso di far leva sulla contraddizione dello Stato rispetto alla reale motivazione che sta dietro il 41 bis, che è quella di estorcere confessioni e collaborazione tramite la tortura e non quella sbandierata di spezzare i legami con l’organizzazione di riferimento.
Questo porta ad individuare soggetti politici che in questo momento si sono assunti la responsabilità di gestire tale contraddizione, vedi in particolare i 5 stelle (nuovo capo del DAP)
L’obiezione che si è fatta a questo ragionamento è che in questo modo il dibattito resta ancorato ad un livello di tecnici, politici e addetti ai lavori, ma non investe in generale la società.
A questa obiezione si risponde interrogandosi sul perché lo Stato si guarda bene dal pubblicizzare gli abusi del 41 bis, quando, considerato il clima di giustizialismo presente nella società gli converrebbe… E’ un dato di fatto che il pentitismo, la collaborazione estorta con la tortura alimentano e rafforzano la casta dell’anti-mafia e la sua continuità: pur in assenza di una reale emergenza mafia o terrorismo viene mantenuto questo impianto repressivo.

– Si è poi accennato alla necessità di approfondire la questione meridionale, viste le alte percentuali di detenuti del Sud Italia e delle Isole (al 41 bis pressoché totale). In particolare, si è osservato come il fatto che le caratteristiche del 41 bis vadano estendendosi all’intero regime carcerario possa incrinare questa “fiducia” nello Stato e nell’anti-mafia.

– Infine si è accennato al fatto che in generale la Campagna non confluisce ma converge rispetto alle altre mobilitazioni anti-carcerarie, cioè conserva una propria autonomia.

-tra le proposte “tecniche” si è parlato della possibilità di realizzare un videoclip breve che renda l’idea sul processo in video-conferenza; inoltre di migliorare la comunicazione interna con la creazione di un gruppo, piuttosto che fare una mailing list

Sul piano operativo:

– prossima riunione PCT: domenica 15 settembre a Firenze (CPA h 11)
All’o.d.g la giornata dell’11 ottobre a Roma, eventuale presidio a Spoleto o altrove, punto sulle presentazioni del libro di Attanasio.
– prendere contatto con le realtà calabresi nell’eventualità di un presidio per Davide Delogu a Rossano Calabro.