LE SEGRETE MEDIEVALI

dal carcere di Massama Oristano settembre 2016

Scrivo per non dimenticare questo sfregio all’umanità, che ho subito nel regime di tortura del 41bis nei sotterranei del carcere di Bancali a Sassari.

Mi chiamo Chessa Federico, nato in provincia di Salerno dove attualmente risiedo, mio padre è sardo della provincia di Sassari, mi trovo detenuto dal 2005, dopo pochi mesi dall’arresto fui trasferito a 41bis, lo sono stato ininterrottamente fino a quattro mesi fa. Gli ultimi 11 mesi del regime di tortura del 41bis sono stato trasferito nelle segrete “medievali” di Sassari.

Il 23 giugno 2015 giorno della mia deportazione da Cuneo a Sassari. Erano giorni che aleggiava una voce nefasta, del possibile trasferimento di massa nella nuova sezione del carcere di Bancali a Sassari. Qualche settimana prima erano stati trasferiti in tre, ma non sapevamo se erano stati portati a Sassari. Nessuno di noi sapeva cosa ci aspettava a Bancali, eravamo fiduciosi che una nuova struttura fosse a norma europea, questo pensiero ci rincuorava, eravamo fiduciosi e allo stesso tempo un pensiero tetro albergava in me; forse dipendeva dai racconti che avevo sentito sull’Asinara, pertanto i trasferimenti in Sardegna li vedevo sotto una luce diversa. Verso mezzogiorno viene l’agente a informarmi di prepararmi per partire, la cosa che mi lasciò perplesso, fu il modo di come avvenne la comunicazione, aveva una luce sinistra e di compiacimento negli occhi, questo mi inquietò molto. La cosa che mi allarmò ancora di più, fu che aveva ordine che mentre preparavo i miei bagagli, lui faceva la guardia davanti alla cella affinché non parlassi con nessuno. Dopo essere arrivato a Sassari ho capito perché.

Mi portano giù al magazzino dove c’erano altri dieci reclusi, anche loro dovevano essere deportati in Sardegna a Sassari. Facciamo operazione magazzino, dove prendo una bottiglia d’acqua per il viaggio. Ci mettono per due in cinque furgoni e ci portano all’aeroporto militare di Cuneo, dove veniamo imbarcati tutti e dieci su un aereo della Guardia di Finanza. Sull’aereo i GOM della polizia penitenziaria avevano abbassato i finestrini, un senso claustrofobico mi aveva assalito, avevo chiesto al brigadiere dei GOM di alzare la tendina del finestrino, mi rispose di no senza spiegazione, constatato che era inutile insistere conoscendo la mentalità. Mi rivolsi al capitano della finanza che era il più alto in grado, chiedendogli se potevo alzare la tendina perché stavo male, diede subito l’assenso, ma il brigadiere del GOM si voleva opporre, con autorità, il capitano disse che sull’aereo l’unico responsabile era lui. Alzai la tendina e ringraziai il capitano. Con uno sguardo al brigadiere gli comunicai di avere pena di lui, chi si abbassa a certi soprusi, mi fece venire in mente le SS tedesche, cattiveria gratuita, o forse è meglio citare Hannah Arendt sulla banalità del male.

Dopo un paio d’ore siamo arrivati all’aeroporto di Alghero, scesi dall’aereo i dubbi e le ansie che mi avevano accompagnato durante il viaggio sono svaniti, perché respirai l’aria che conoscevo bene, essendo che mio padre è sardo, mi portava in ogni occasione nella sua amata Sardegna. Scendiamo dai furgoni, stanchi e affamati, ci aspetta un cordone che ci fa temere il peggio, comunque l’impressione è che ci volevano intimidire. L’impatto fu tremendo perché a parte l’impatto climatico, dall’esterno si vedevano i palazzi all’interno del carcere, a noi toccò il piano zero, una sezione situata sottoterra, senza finestre, pertanto senza aria e né luce naturale, pensai che sarei uscito con la pelle verde, per mancanza di aria e luce all’aperto. Mi portarono insieme ai miei due compagni di gruppo, nel reparto a noi assegnato, entrato in cella rimasi meravigliato perché la finestra affacciava nel passeggio, ed era anche con una rete attaccata alle sbarre, che non consentiva di vedere quasi niente, neanche il muro che rappresentava il mio orizzonte. Chiedemmo qualcosa da mangiare, ci risposero che la cucina era chiusa e ci lasciarono fino al giorno dopo senza mangiare, l’unica consolazione fu la bottiglia d’acqua portata da Cuneo, perché in caso contrario neanche l’acqua ci avrebbero portato.

La mattina successiva avevo chiesto la caffettiera al magazziniere, mi rispose che non era possibile perché non potevamo usufruire del fornello, lì c’era una piastra ad induzione, però non funzionava perché mancante di un pezzo. Siamo stati otto mesi senza poterci fare un caffè. Passò il porta vitto e ci rifilò un po’ di acqua sporca fatta passare per caffè. Per lenire i crampi allo stomaco ho dovuto aspettare fino alle undici che passarono il pane e la frutta. Attendevo dalla fame il pranzo, ma con sommo stupore mi passarono sette penne, tre pezzettini di carne striminziti e tre fette di patate bollite. Credevo che fosse il primo giorno, invece anche gli altri giorni, settimane e mesi fu sempre così.

Da Cuneo mi avevano dato solo dieci euro più 52 euro di fondo vincolato. Feci un telex per informare i miei familiari che mi trovavo a Sassari e non me lo fecero partire, perché avendo fatto un po’ di spesa – acqua, una confezione di biscotti e un kg di mele – avevo finito i dieci euro, e loro non mi avevano sbloccato i 52 euro di fondo vincolato, pertanto per loro non avevo i fondi per pagare il telex, burocrazia ottusa a sfondo cieco, esclusivamente per opprimere. A Cuneo si erano trattenuti illegalmente i miei soldi, perché mi fecero pagare i pacchi postali con la mia biancheria, che sono a carico dell’amministrazione, pertanto un abuso. La mia famiglia mi aveva fatto un vaglia a Cuneo, invece di girarlo al carcere dove ero stato trasferito, l’avevano rimandato indietro. Siccome i miei familiari non sapevano che ero stato trasferito, erano tranquilli, anche perché il vaglia indietro gli ritornò dopo un mese e mezzo. Dopo quindici giorni riuscii a telefonare all’avvocato e lo informai che mi trovavo a Sassari, lui informò i miei familiari, che subito mi fecero un vaglia a Sassari, che non veniva cambiato perché lì avevano la brutta abitudine di cambiare i vaglia due volte al mese. Nel frattempo sono stato costretto a bermi l’acqua non potabile della fontana della cella. Acqua gialla che di potabile non poteva averne in nessun caso. La direzione aveva il dovere di passare almeno una bottiglia di acqua al giorno, invece ne passavano tre a settimana, lo fecero per alcune settimane. Non potendo fare la spesa, per mia fortuna nella mia roba c’era un sapone di Marsiglia portato da Cuneo, con quello dovevo fare tutto per l’igiene personale.

Quando sono arrivati i pacchi da Cuneo, non mi hanno dato quasi niente, come se il 41bis di Cuneo fosse diverso da quello di Sassari. La spesa era misera e striminzita, si compravano poche cose, dopo vari reclami al magistrato di sorveglianza, l’hanno aggiornato e aggiunto altri prodotti. L’area sanitaria era da brividi, perché sotto le direttive dei GOM, i dottori non facevano niente per timore di questi signori. Avevo bisogno di una pomata per problemi di pelle, la dottoressa mi rispose che doveva chiedere al grande capo, pensavo che era il dirigente sanitario, invece era il comandante dei GOM, gli risposi che non ci troviamo nella Corea del Nord. In undici mesi, sono riuscito ad avere solo una visita urologica, due giorni prima che mi revocassero il 41bis. L’impressione della struttura era micidiale, perché dava quel senso di oppressione, di claustrofobia, di tortura psicologica, più peggiore dei racconti su Pianosa e l’Asinara. Sulle due isole la tortura era fisica e di alimentazione, viceversa a Sassari era tutto l’insieme, ti devastavano moralmente, al fine di violentare la tua dignità, calpestare i tuoi sentimenti, per annichilire la personalità e ridurci a dei vegetali.

Tutti quelli che passeranno almeno un anno a Sassari, avranno problemi psichiatrici, perché la tortura maggiore è psicologica, insieme alle angherie quotidiane, ne racconto una per far comprendere a che punto arriva la crudeltà di certi personaggi: finita la cassa d’acqua che ero riuscito a comprare, ero rimasto senza acqua, un mio compagno mi aveva portato una bottiglia al passeggio, l’agente se ne accorge e informa l’ispettore. Dopo un quarto d’ora venne l’ispettore davanti alla cella, voleva farmi la paternale, gli spiegai che dovevo bere, ed era loro dovere rifornirmi di acqua potabile, invece lui insisteva che non dovevano passarmi l’acqua e voleva farmi rapporto. Constatando che non si poteva discutere con una visione mentale così chiusa, lasciai perdere. A onore della verità, dopo un paio di giorni mi mandò una cassa d’acqua. Un paio di settimane dopo venni a sapere che all’ispettore gli avevano fatto capire che era andato troppo oltre, aveva capito e mi aveva mandato l’acqua. L’Italia che si vanta di essere la culla del diritto, non ha avuto nessuna remora a costruire un obbrobrio come Bancali, equipararlo alle segrete medievali non è una esagerazione.

Quando mi hanno revocato il 41bis, mi hanno portato in una sezione a regime AS-2, dove sono stato due giorni. Quello che mi è rimasto impresso è stato il tempo trascorso alla finestra, ammirare il panorama che si vedeva dal secondo piano, sensazioni difficili da spiegare, ma profonde e molto sentite. In quei momenti mille pensieri affollavano la mia mente, quello più ricorrente era il colloquio con i familiari, poterli di nuovo abbracciare dopo undici anni. Immaginavo il momento, vivendolo come se fosse reale. Non potrò mai dimenticare questi undici anni trascorsi a regime di tortura di 41bis, ma principalmente gli undici mesi nei sotterranei di Sassari. Una vergogna per la civiltà italiana, ma anche per l’Unione Europea. Un paese che vorrebbe progredire usando la crudeltà e la tortura contro i suoi cittadini, non ha un grande futuro.