Carinola (CE) 23 giugno 2018: presidio davanti al carcere

In una landa desolata dove non arriva nemmeno il treno, all’inizio degli anni ’80 è stato tirato su un carcere dove chiudere 200-250 detenuti sotto regime duro; persone accusate di appartenenza alla camorra o comunque a bande organizzate, radicate, figlie dei quartieri di Napoli, della Campania. In quella situazione venne dato posto all’installazione di una sezione 41bis, comunque punitiva, composta al massimo da una decina di prigionieri considerati ‘altamente pericolosi’.

Sezioni come quella alla metà degli anni ’80 (ne) vennero installate ad Ariano Irpino, Spoleto, Foggia … nominate nel gergo carcerario «braccetti della morte» e voluti per chiuderci prigionieri ‘pericolosi’: ribelli, persone considerate appartenenti-dirigenti alla ‘mala’ delle città del centro-nord e alle organizzazioni extralegali di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.

Carinola vive “di carcere”. Poche case e qualche negozio le cui attività commerciali sono, molto probabilmente, soprattutto connesse alla vendita dei prodotti acquistati dagli stessi detenuti e secondini.

Fino al 2013 il carcere di Carinola era principalmente di massima sicurezza. E infatti, la prima cosa che salta agli occhi è la sua immensa e fortificata struttura. Mura di cinta altissime, bosco tutto attorno: impossibile raggiungere con lo sguardo le varie sezioni che (a parte una che affaccia sulla strada) sono tutte interne e lontane dal perimetro esterno. Ad oggi, da quanto è possibile leggere sul sito del Ministero di Giustizia, il regime interno prevede anche sezioni a sorveglianza dinamica (celle aperte durante il giorno) volte al “recupero sociale” di chi lì dentro è rinchiuso.

Tuttavia, nel carcere di Carinola è stata mantenuta tuttora la sua vecchia funzione punitiva che viene eseguita, nel tentativo di ‘rieducare’, con l’impiego dell’isolamento (14bis) nei confronti di chi nelle carceri tiene la testa alta, unisce i prigionieri nel  far valere la propria e altrui dignità sotto tutti i punti di vista. I secondini qui vantavano di essere, dopo Poggioreale, il carcere ove i prigionieri venivano più pestati.

A gennaio a Carinola era stato trasferito Maurizio Alfieri dal carcere di Poggioreale (Napoli), ove era rinchiuso da aprile 2017 dopo esser stato trasferito da Opera in cui era in 14 bis.

Il vero motivo per cui l’avevano trasferito era a causa di una lettera collettiva firmata da 128 prigionieri in A.S. che aveva innescato un clima di lotta contro: le discriminazioni nelle possibilità di lavoro, la scarsità e qualità del vitto, le ancor peggio condizioni sanitarie, igieniche connesse a una funzione della magistratura di sorveglianza che legalizza il tutto, compresi gli assassinii.

Nel tentativo di paralizzare quell’iniziativa corale, il direttore, il noto aguzzino Giacinto Siciliano con l’aiuto delle guardie e dei burocrati dell’annientamento, chiusero in isolamento 14bis, a cominciare da Maurizio,  una decina di prigionieri, che avevano caratterizzato questa mobilitazione titolata «la Cayenna di Opera».

Maurizio venne, quindi, trasferito a Poggioreale e gli fu mantenuto, in continuità, il regime di 14bis eseguito in una sezione vicina alla ‘cella zero’, a sua volta prossima alla sezione dove vengono ancor oggi chiuse, nascoste, le persone sottoposte al trattamento psichiatrico. Situazione che anche Maurizio ha cercato di far uscire dalla clandestinità in cui veniva esercitata.

Per questa ragione nella primavera del 2018 all’esterno del carcere a Napoli si riuscì a mettere in piedi, con l’impegno di diversi collettivi, due presidi-saluti a cui, al secondo, presero parte famigliari di detenuti e persone da poco in libertà. Tutto ciò nonostante il seguente trasferimento di Maurizio, a Carinola, disposto pochi giorni prima. Da quel momento fra diversi collettivi ci si impegnò a dar vita ad un presidio a Carinola affinché la solidarietà riuscisse a dare continuità alla lotta con l’obiettivo di estenderla e consolidarla.

Sabato 23 giugno si è tenuto un nuovo presidio sotto al carcere, in continuità con altri precedenti, indetto dalla campagna “Pagine contro la tortura”, in solidarietà al compagno Maurizio Alfieri e a tutti quelli che come lui, e come Davide Delogu ad Augusta ad esempio, lottano e non si sottomettono; ma anche contro i pestaggi, il 14 bis e il clima di sfruttamento che anche in questa prigione sono prassi quotidiana.

Eravamo una trentina di compagni e compagne da Roma, Napoli, Firenze Genova, Parma, Milano e Salerno. Abbiamo comunicato con l’interno con vari interventi, saluti, cori, slogan e musica per circa 3 ore. I prigionieri hanno risposto sventolando indumenti dalle inferiate, urla e una battitura…  poi come spesso accade la pressione dei secondini ha determinato la fine della battitura e delle comunicazioni dall’interno.

Ma la loro presenza per quanto nascosta è rimasta percepibile e così i compagni e le compagne hanno scelto di non sciogliere il presidio.

Dai detenuti si è avuta l’ennesima conferma che per quanto il ministero si sforzi nella sua propaganda di apertura democratica, il carcere di Carinola è un carcere come tutti. Qualcuno da dentro ha sintetizzato il concetto con “Questo carcere è una merda!”

Gli interventi erano tutti mirati a sottolineare lo strumentale uso da parte degli organi repressivi dei regimi differenziati, volti alla desolidarizzazione e frammentazione delle persone, al reale significato di parole come “recupero sociale e riabilitazione” e cioè: l’educazione all’ammansimento ed assoggettamento. A quanto quelle mura, per quanto divisori di corpi, non possano rappresentare un reale confine per chi anela alla realizzazione di nuove prospettive. Infatti, fuori da quelle mura, sfruttamento, esclusione, guerre esterne ed interne sono altrettanto funzionali al raggiungimento degli stessi obiettivi di controllo e gestione.

In questo presidio, seppur per poco è stato rotto il muro di silenzio che avvolge i prigionieri e le loro lotte, è stata ribadita la solidarietà al compagno e si è messo in chiaro che i trasferimenti non potranno spezzare la nostra lotta al fianco di chi dentro le galere si batte per la propria ed altrui dignità. C’è stata inoltre una grande comunicazione fra manifestanti e prigionieri, con interventi sulle pratiche di lotta nelle carceri, come nelle campagne e città. Interventi tutti ascoltati e sottolineati dalle voci lanciate tra i manifestanti e le persone chiuse in carcere.

In ultimo. Durante il viaggio di ritorno una macchina, con a bordo alcune compagne e compagni, è stata fermata dalle solerti forze dell’ordine. Sono stati/e identificati/e e portati/e in un vicino posto di polizia per la notifica, ad una compagna, di un provvedimento tenuto da anni in un cassetto.

Un insegnamento per tutti e tutte: mai più via alla spicciolata!

Campagna “Pagine contro la tortura”

Giugno 2018

REPORT DEL 4 MAGGIO 2018: L’AQUILA, ANCORA AL FIANCO DI CHI LOTTA!

Venerdì 4 maggio, in una cinquantina tra compagne e compagni, siamo tornati a L’Aquila in occasione di un’udienza del processo che vede Nadia Lioce, prigioniera delle BR-PCC, sotto accusa per aver protestato più volte, con delle battiture, contro le condizioni detentive cui è costretta dal regime 41bis al quale è sottoposta dal 2006.

Questa mobilitazione rientra in un percorso di lotta anticarceraria che portiamo avanti da una decina d’anni, e da circa due nello specifico con la campagna “Pagine contro la tortura”, che riconosce il 41bis come strumento massimo e più duro della repressione dello Stato. Tale percorso ci ha visti più volte a L’Aquila per la presenza in città del carcere di massima sicurezza, in cui la maggioranza dei detenuti e delle detenute è appunto ristretta in 41bis.

La giornata è iniziata con l’entrata nell’aula del Tribunale di tutti e tutte le solidali. Come nell’udienza del 24 novembre, anche questa volta Nadia Lioce era presente in videoconferenza, modalità applicata a chiunque sia detenuto in 41bis.

Questo dispositivo, applicato quindi dapprima su chi è prigioniero in questo regime, si è esteso nel tempo anche ad altre “tipologie” di detenuti e, con l’introduzione della legge Minniti-Orlando di recente applicazione, anche alle persone immigrate recluse nei CPR in occasione delle udienze di convalida di trattenimento.

La videoconferenza è esemplificativa di come agisca lo Stato, che sperimenta la repressione su determinate “categorie” di persone per poi normalizzarla applicandola al resto della popolazione.

Nonostante i problemi con l’audio in aula e l’effetto straniante che vorrebbero imporre con la videoconferenza, speriamo che il saperci presenti abbia trasmesso a Nadia la rabbia e il calore della nostra solidarietà.

In questa udienza è stata ascoltata una agente del GOM (gruppo operativo mobile, reparto specializzato della polizia penitenziaria attivo nelle sezioni di 41bis) come testimone dell’accusa: dopo aver risposto alle domande della PM e delle avvocate della difesa in modi vaghi e contraddittori, e aver affermato che le battiture di Nadia rendevano “insopportabile” il loro lavoro di carcerieri, ha ribadito quello che già avevamo ascoltato nell’udienza precedente da una ispettrice del GOM, e cioè l’ulteriore e totale isolamento cui è sottoposta Nadia Lioce. Isolamento esplicato, per esempio, nell’espressione usata da entrambe le testi, ovvero “socialità in gruppi da 1”, cioè nessuna socialità… fermo restando l’impossibilità di comunicare in alcun modo tra detenute al di fuori dei gruppi di socialità permessi (di massimo 4 persone scelte dall’amministrazione), pena rapporti disciplinari.

Per tutta la durata del processo, in aula sono stati presenti Digos e Ros, uno di questi ultimi con una videocamera fissa sul gruppo di solidali. Che fosse dell’arma si è capito solo nel momento in cui si è domandato alla corte, ignara e ignava, chi fosse quest’uomo molesto, il quale si è svelato da solo dopo essere stato, suo malgrado, per alcuni minuti, sotto i riflettori, protagonista della scena. Dopo le numerose denunce arrivate a compagne e compagni per la manifestazione precedente, la presenza assidua e asfissiante delle FdO mira a spezzare la solidarietà. Per noi, invece, queste attenzioni poco gradite, sono un motivo in più per tornare a L’Aquila e sostenere Nadia e tutti e tutte le detenute che lottano e non si arrendono alla violenza delle galere.

Essere lì presenti in tribunale, ci ha reso evidente quanto il processo a Nadia, caratterizzato da accuse che chiunque giudicherebbe ridicole, soprattutto se contestualizzate (cosa che il tribunale stenta a fare), per i/le detenuti/e in 41bis sono la prassi. Cioè è prassi subire dei processi per ogni gesto anche minimo di insubordinazione, cosa che rende questa situazione tutt’altro che risibile, ma invece piuttosto allarmante. E’ lo stato che insegue e persegue qualsiasi “virgola fuori posto”, è il trionfo della legalità normata. Si dirà: “cosa c’è di strano”? “Assolutamente niente in un mondo tutto proiettato verso l’ordine e la disciplina”! Il fatto è che se noi, qui fuori, possiamo ancora permetterci di giudicare ridicolo e risibile ciò che ci stanno facendo, perché nonostante tutto abbiamo ancora una qualche possibilità di “sconvolgere il discorso” del potere, di metterlo in discussione con diverse pratiche di resistenza e attacco, bene, crediamo che chi si ritrova in 41 di tutto abbia voglia, tranne che di ridere della maniera in cui viene trattato/a e che gli spazi di agibilità sono veramente molto ridotti. Se il carcere è lo specchio di una società, il 41bis è il regime specchio della società militarizzata verso cui vorrebbero traghettarci senza trovare resistenze.

Siamo rimasti/e ad assistere alle udienze successive a quella di Nadia, e lo scenario è stato, per il discorso qui sopra, tragico. Detenuti, tutti in 41bis, collegati in videoconferenza, da differenti carceri (perché nel frattempo trasferiti da quello de L’Aquila), a processo per una serie di “virgole fuori posto” rispetto all’ordinamento penitenziario, lo stesso che dispone: 23 ore su 24 di isolamento in cella, una sola ora di colloquio al mese con vetro divisorio, l’interdizione da tutti i cosiddetti benefici, l’impossibilità di acquistare libri e riviste direttamente, di cucinare in cella, di tenere la televisione accesa finché si vuole… solo per citare alcune delle restrizioni. Sulle “regole” del 41 bis c’è un’omertà indecente, e questi processi per “piccole cose” sono forse piccole occasioni per  scoperchiare il vaso in cui il potere vorrebbe tenere al sicuro quella che per noi è da sempre un’evidenza: il 41 bis è la sperimentazione normata della tortura, finalizzata all’annientamento, personale e sociale. A quando il conto per noi tutti e tutte?

Mentre alcune compagne seguivano le altre udienze, il resto del gruppo si è spostato verso il mercato della città, per provare a incontrare e raccontare alle persone del luogo il perché della mobilitazione e cosa succede a pochi km dai loro occhi nel supercarcere aquilano.
Verso le 14 ci siamo spostate verso il carcere per un saluto ai/alle detenute e per quasi due ore vari interventi e musica hanno caratterizzato il presidio. Oltre a raccontare delle udienze a cui avevamo appena assistito, abbiamo voluto far sapere ai detenuti che conosciamo le proteste che stanno portando avanti da due mesi e ribadito il nostro impegno a portare le loro voci fuori da quelle infami mura.

Dalle finestre delle celle (tutte a bocca di lupo) abbiamo intravisto alcune mani sventolare qualche panno bianco, contente/i di sapere che in qualche modo la nostra presenza con cori, parole e musica è riuscita a spezzare l’isolamento e a rompere il silenzio che avvolge quel luogo di tortura.

L’udienza a Nadia, come d’altronde tutte quelle successive, è stata rinviata al 28 settembre, giorno in cui saremo di nuovo a L’Aquila. Seguiranno aggiornamenti.

CAMPAGNA “PAGINE CONTRO LA TORTURA”

Firenze CPA 14 aprile 2018 – Report assemblea pagine contro la tortura

Questo è un resoconto schematico della riunione di sabato 14/4 della campagna Pagine contro la tortura e si riferirà ai prossimi appuntamenti che abbiamo scelto di costruire, provando a descrivere il tenore del confronto.

Il 4 maggio la Campagna Pagine contro la tortura convoca una presenza a L’Aquila, prima al tribunale e poi al carcere.
Questo appuntamento ci ha dato modo di affrontare in assemblea la natura della campagna stessa. Lo spunto è stato il primo intervento dell’assemblea di una compagna del mfpr, la quale ci ha descritto i prossimi appuntamenti della campagna in solidarietà con la compagna prigioniera N. Lioce, e come costruiranno appuntamenti di lotta nel giorno del processo. La loro idea è di iniziative diffuse sul territorio e non concentrate solo a l’Aquila.

Partendo da queste informazioni abbiamo ragionato sulla natura e le proposte della campagna “pagine contro la tortura”che portiamo avanti, come praticare l’allargamento e non concentrarsi sulla personalizzazione, considerando ovviamente la solidarietà alla compagna sotto processo.

Altro fattore che è stato preso in considerazione, sono le denunce ricevute per l’ultimo appuntamento di lotta, questo sottolinea ancora di più la determinazione a tornare tutti/e a L’Aquila. Nel merito della giornata del 4 maggio, la campagna ha scelto di concentrarsi lì posticipando, nonostante l’importanza e la risonanza che avrebbe potuto dare la contemporaneità, l’appuntamento davanti il carcere di Opera (il secondo per grandezza riguardo la sezione del 41bis) per essere in tanti/e a L’aquila.
Per l’appuntamento del 4 maggio, appena abbiamo conferma sull’orario dell’udienza, faremo una locandina e un comunicato (rimettendo mano a quello già utilizzato in passato).
Saranno importanti iniziative e comunicati che possano dare risalto all’appuntamento che abbiamo scelto di darci.
Nel frattempo si manderà un fax alle fdo con la comunicazione della presenza, si proverà a contattare i/le compas che avevano già messo a disposizione l’amplificazione e si organizzerà un pullman da 30 posti con partenza da Roma (13 euri a persona), per facilitare il viaggio a chi arriverà da altre città. Sarebbe buono comunicare la necessità di posti in pullman, così da confermare o meno la prenotazione. Anche per l’ospitalità nel giorno precedente c’è piena disponibilità. Il 25 aprile qualcunx andrà davanti il carcere di Teramo, per coinvolgere i compagni e le compagne che parteciperanno al presidio in solidarietà a Paska e contro le galere. Ognunx di noi sa che impegni si è preso sulla logistica e non li ripeto qui.

I ragionamenti scaturiti dal primo punto discusso in assemblea ci hanno convinti a organizzare un momento di bilancio e progettualità della Campagna Pagine contro la tortura.
La mattina di domenica 20 maggio a Roma, al NED in via Dulceri 211, si terrà la riunione.
Questa necessità proviene dal passato e arriva fino ad oggi, nel limite di incontri che abbiamo organizzato in base alle scadenze, senza avere tempo per le riflessioni collettive e per coinvolgere i compagni e le compagne con cui abbiamo cresciuto relazioni nella costruzione di iniziative locali.

Il 23 giugno la Campagna convoca un presidio al carcere di Carinola. Abbiamo letto e condiviso le riflessioni che arrivano da Napoli e, come i compagni e le compagne scrivevano, sappiamo che il luogo non permette di comunicare fuori dal carcere o di costruire relazioni con i familiari delle persone imprigionate.
Saremo lì per Maurizio e per “i tanti Maurizio” detenuti, appoggiando le lotte che vengono portate avanti nelle carceri, con la volontà di non lasciare nessuno solo, nonostante i trasferimenti. Siamo rimasti che entro pochi giorni deve uscire la convocazione per il presidio. La logistica verrà discussa nella riunione del 20 maggio perché crediamo si possa risolvere in poco tempo, lasciando largo spazio al confronto di cui necessitiamo.

Daje tutte e tutti, per il momento credo sia tutto.

Firenze CPA 14 aprile 2018 Assemblea pagine contro la tortura

L’Aquila 4 maggio 2018, ancora al fianco di chi lotta. Presidio solidale al tribunale e al carcere

Il 4 maggio a L’Aquila si terrà la quarta udienza che vede la prigioniera delle BR-PCC Nadia Lioce sotto processo per aver osato dimostrare, tramite una serie di battiture contro le condizioni di detenzione che il regime cui è sottoposta impone, di non essere stata ridotta a totale silenzio dalla vendetta dello stato.

Sono passati 13 anni da quando Nadia è rinchiusa all’interno delle sezioni di 41bis, che lo scorso settembre le è stato prorogato – per la durata di altri 2 anni – ancora una volta.

Le persone rinchiuse all’interno del circuito del 41bis non hanno la possibilità di far uscire la loro voce, rendendo pubblica la tortura quotidiana vissuta sui propri corpi e le proprie menti… Ecco che questo processo si è trasformato nell’occasione per poter prendere parola: nell’ultima udienza, lo scorso 24 novembre, Nadia ha presentato alla corte un documento di una decina di pagine in cui ha ritenuto necessario ripercorrere i passaggi della detenzione speciale, dall’art.90 al 41bis, descrivendo la natura vessatoria delle condizioni cui si pretende di sottoporre i detenuti e le detenute in 41bis, contestualizzandole e rendendo chiaro quanto grottesche possano risultare le accuse a lei rivolte in questo processo, nonché più che legittimi i motivi delle sue battiture.

Con queste parole Nadia ci consegna la testimonianza diretta di ciò che stanno facendo a oltre 700 persone sottoposte in Italia al cosiddetto carcere duro, ma che potrebbe in un modo o nell’altro riguardarne molte altre. I paletti della legalità sono nelle mani dello stato, e dove vengano di volta in volta piantati dipende dal terreno fertile che trovano.

Come campagna “pagine contro la tortura” nell’ultimo anno e mezzo, e come compagni e compagne contro il carcere, da una decina di anni a questa parte, abbiamo lanciato a più riprese diversi appuntamenti nel capoluogo abruzzese, proprio per la presenza in quel territorio del supercarcere che rinchiude oltre 100 persone, quasi tutte ristrette in 41bis. Tali mobilitazioni sono inserite in un percorso di lotta anti-carceraria che individua il regime di 41bis come l’apice, la punta di diamante del sistema di repressione italiano, nonché “scuola” per le amministrazioni penitenziarie di tutti gli stati occidentali e non solo.

Così, già lo scorso 24 novembre, in occasione dell’ultima udienza, ci eravamo recate/i a L’Aquila da differenti parti della penisola individuando nel processo a Nadia una doppia occasione: poter solidarizzare con lei e ribadire che il 41bis è tortura. Successivamente alcuni/e di noi hanno ricevuto  delle denunce, che se arriveranno a processo ci forniranno ulteriori occasioni per prendere parola sui motivi che ci spingono a lottare, a non abbassare la testa, a non girarla dall’altro lato per non vedere.

Il 4 MAGGIO, ANCORA UNA VOLTA AL FIANCO DI CHI LOTTA.

SOLIDARIETÀ CON NADIA. CONTRO IL 41BIS E IL SISTEMA CHE SOSTIENE E DIFENDE.

ORE 9:00 presidio davanti al Tribunale ordinario di L’Aquila in Via XX Settembre n. 68.

Di seguito ci sposteremo davanti al carcere per portare un saluto ai detenuti e alle detenute.

CAMPAGNA “PAGINE CONTRO LA TORTURA”