Venerdì 4 maggio, in una cinquantina tra compagne e compagni, siamo tornati a L’Aquila in occasione di un’udienza del processo che vede Nadia Lioce, prigioniera delle BR-PCC, sotto accusa per aver protestato più volte, con delle battiture, contro le condizioni detentive cui è costretta dal regime 41bis al quale è sottoposta dal 2006.
Questa mobilitazione rientra in un percorso di lotta anticarceraria che portiamo avanti da una decina d’anni, e da circa due nello specifico con la campagna “Pagine contro la tortura”, che riconosce il 41bis come strumento massimo e più duro della repressione dello Stato. Tale percorso ci ha visti più volte a L’Aquila per la presenza in città del carcere di massima sicurezza, in cui la maggioranza dei detenuti e delle detenute è appunto ristretta in 41bis.
La giornata è iniziata con l’entrata nell’aula del Tribunale di tutti e tutte le solidali. Come nell’udienza del 24 novembre, anche questa volta Nadia Lioce era presente in videoconferenza, modalità applicata a chiunque sia detenuto in 41bis.
Questo dispositivo, applicato quindi dapprima su chi è prigioniero in questo regime, si è esteso nel tempo anche ad altre “tipologie” di detenuti e, con l’introduzione della legge Minniti-Orlando di recente applicazione, anche alle persone immigrate recluse nei CPR in occasione delle udienze di convalida di trattenimento.
La videoconferenza è esemplificativa di come agisca lo Stato, che sperimenta la repressione su determinate “categorie” di persone per poi normalizzarla applicandola al resto della popolazione.
Nonostante i problemi con l’audio in aula e l’effetto straniante che vorrebbero imporre con la videoconferenza, speriamo che il saperci presenti abbia trasmesso a Nadia la rabbia e il calore della nostra solidarietà.
In questa udienza è stata ascoltata una agente del GOM (gruppo operativo mobile, reparto specializzato della polizia penitenziaria attivo nelle sezioni di 41bis) come testimone dell’accusa: dopo aver risposto alle domande della PM e delle avvocate della difesa in modi vaghi e contraddittori, e aver affermato che le battiture di Nadia rendevano “insopportabile” il loro lavoro di carcerieri, ha ribadito quello che già avevamo ascoltato nell’udienza precedente da una ispettrice del GOM, e cioè l’ulteriore e totale isolamento cui è sottoposta Nadia Lioce. Isolamento esplicato, per esempio, nell’espressione usata da entrambe le testi, ovvero “socialità in gruppi da 1”, cioè nessuna socialità… fermo restando l’impossibilità di comunicare in alcun modo tra detenute al di fuori dei gruppi di socialità permessi (di massimo 4 persone scelte dall’amministrazione), pena rapporti disciplinari.
Per tutta la durata del processo, in aula sono stati presenti Digos e Ros, uno di questi ultimi con una videocamera fissa sul gruppo di solidali. Che fosse dell’arma si è capito solo nel momento in cui si è domandato alla corte, ignara e ignava, chi fosse quest’uomo molesto, il quale si è svelato da solo dopo essere stato, suo malgrado, per alcuni minuti, sotto i riflettori, protagonista della scena. Dopo le numerose denunce arrivate a compagne e compagni per la manifestazione precedente, la presenza assidua e asfissiante delle FdO mira a spezzare la solidarietà. Per noi, invece, queste attenzioni poco gradite, sono un motivo in più per tornare a L’Aquila e sostenere Nadia e tutti e tutte le detenute che lottano e non si arrendono alla violenza delle galere.
Essere lì presenti in tribunale, ci ha reso evidente quanto il processo a Nadia, caratterizzato da accuse che chiunque giudicherebbe ridicole, soprattutto se contestualizzate (cosa che il tribunale stenta a fare), per i/le detenuti/e in 41bis sono la prassi. Cioè è prassi subire dei processi per ogni gesto anche minimo di insubordinazione, cosa che rende questa situazione tutt’altro che risibile, ma invece piuttosto allarmante. E’ lo stato che insegue e persegue qualsiasi “virgola fuori posto”, è il trionfo della legalità normata. Si dirà: “cosa c’è di strano”? “Assolutamente niente in un mondo tutto proiettato verso l’ordine e la disciplina”! Il fatto è che se noi, qui fuori, possiamo ancora permetterci di giudicare ridicolo e risibile ciò che ci stanno facendo, perché nonostante tutto abbiamo ancora una qualche possibilità di “sconvolgere il discorso” del potere, di metterlo in discussione con diverse pratiche di resistenza e attacco, bene, crediamo che chi si ritrova in 41 di tutto abbia voglia, tranne che di ridere della maniera in cui viene trattato/a e che gli spazi di agibilità sono veramente molto ridotti. Se il carcere è lo specchio di una società, il 41bis è il regime specchio della società militarizzata verso cui vorrebbero traghettarci senza trovare resistenze.
Siamo rimasti/e ad assistere alle udienze successive a quella di Nadia, e lo scenario è stato, per il discorso qui sopra, tragico. Detenuti, tutti in 41bis, collegati in videoconferenza, da differenti carceri (perché nel frattempo trasferiti da quello de L’Aquila), a processo per una serie di “virgole fuori posto” rispetto all’ordinamento penitenziario, lo stesso che dispone: 23 ore su 24 di isolamento in cella, una sola ora di colloquio al mese con vetro divisorio, l’interdizione da tutti i cosiddetti benefici, l’impossibilità di acquistare libri e riviste direttamente, di cucinare in cella, di tenere la televisione accesa finché si vuole… solo per citare alcune delle restrizioni. Sulle “regole” del 41 bis c’è un’omertà indecente, e questi processi per “piccole cose” sono forse piccole occasioni per scoperchiare il vaso in cui il potere vorrebbe tenere al sicuro quella che per noi è da sempre un’evidenza: il 41 bis è la sperimentazione normata della tortura, finalizzata all’annientamento, personale e sociale. A quando il conto per noi tutti e tutte?
Mentre alcune compagne seguivano le altre udienze, il resto del gruppo si è spostato verso il mercato della città, per provare a incontrare e raccontare alle persone del luogo il perché della mobilitazione e cosa succede a pochi km dai loro occhi nel supercarcere aquilano.
Verso le 14 ci siamo spostate verso il carcere per un saluto ai/alle detenute e per quasi due ore vari interventi e musica hanno caratterizzato il presidio. Oltre a raccontare delle udienze a cui avevamo appena assistito, abbiamo voluto far sapere ai detenuti che conosciamo le proteste che stanno portando avanti da due mesi e ribadito il nostro impegno a portare le loro voci fuori da quelle infami mura.
Dalle finestre delle celle (tutte a bocca di lupo) abbiamo intravisto alcune mani sventolare qualche panno bianco, contente/i di sapere che in qualche modo la nostra presenza con cori, parole e musica è riuscita a spezzare l’isolamento e a rompere il silenzio che avvolge quel luogo di tortura.
L’udienza a Nadia, come d’altronde tutte quelle successive, è stata rinviata al 28 settembre, giorno in cui saremo di nuovo a L’Aquila. Seguiranno aggiornamenti.
CAMPAGNA “PAGINE CONTRO LA TORTURA”