Contributo da Acad Firenze al presidio davanti al carcere di San Giminiano

Buongiorno!
Aderiamo convintamente e saremo presenti al presidio in solidarietà per i detenuti del carcere di San Gimignano e idealmente a tutti i detenuti e le detenute. Persone che vivono quotidianamente la tortura di atroci condizioni carcerarie e delle restrizioni del 41 bis con l’aggravante dell’isolamento culturale dal non poter ricevere libri. Aderiamo inoltre alla campagna “pagine contro la tortura” e la rilanceremo attraverso le nostre pagine.
Acad Firenze
Pubblichiamo, nello scritto a seguire, il nostro intervento durante il presidio di sabato 26 ott 2019 davanti al carcere di San Gimignano (Si).

Ringraziamo ancora tutte le realtà per essere state presenti a questo importante momento di solidarietà e lotta, con la speranza che sia stato di supporto ai carcerati per non mollare la difficile battaglia di denuncia verso gli abusi subiti.

Nel video un momento dei cori in solidarietà ai detenuti.

https://www.facebook.com/AcadOnlus/videos/419251762074506/?__tn__=K-R

“Un saluto ed un abbraccio a tutti i detenuti da ACAD (Associazione contro gli abusi in divisa).

Siamo qui oggi insieme ai compagni e le compagne della “campagna pagine contro la tortura”, al CPA Fi sud, Colpol e al Collettivo Antipsichiatrico di Pisa, per gridare e rompere il silenzio agghiacciante che circonda tutti gli abusi del sistema carcerario italiano, dello Stato italiano, delle forze dell’ordine italiane, delle istituzioni tutte.

Siamo qui oggi in solidarietà ai detenuti del carcere di San Gimignano e di tutte le altre patrie galere, siamo qui per dire grazie al coraggio di chi ha avuto la forza di denunciare il sistema di abusi e torture di questo penitenziario, che ha portato all’indagine per 15 guardie con la pesante accusa di aver picchiato fino allo svenimento un detenuto.

Lui ce l’ha fatta, è sopravvissuto all’incubo del potere che esercita la propria forza coercitiva su di un carcerato inerme, non ce l’hanno fatta i tanti massacrati Stefano Cucchi, i presunti suicidi inscenati dei tanti Stefano Frapporti, o i tanti indotti al suicidio Aldo Scardella, proclamatasi innocenti e morti da innocenti, con la beffa della condanna post-mortem per i veri colpevoli, o i tanti rispediti alla madre senza organi interni svuotati come carne da brace Daniele Franceschi, non ce l’hanno fatta i tanti Aldo Bianzino, quegli strani infarti che solo tra le mani delle forze dell’ordine succedono, con fegati spappolati, milze spappolate, cuori scoppiati, teste aperte e sangue ovunque, come per i tanti Marcello Lonzi , o i tanti Riccardo Boccaletto lasciati morire tra stenti ed anoressia, o i narcotizzati e poi strangolati Mario Scrocca.

Siamo qui oggi e in contemporanea anche davanti al carcere di Parma per i tanti Egidio Tiraborelli lasciati morire di cancro, con il rifiuto della concessione dei domiciliari, abbandonato alla morte tra atroci sofferenze a 82 anni, di cui gli ultimi 9 mesi in carcere per il triste reato di solidarietà verso un migrante, con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
Siamo qui per i tanti compagni e compagne prigionieri o sotto processo per le battaglie contro questo Stato fatto di abusi e diritti negati, fatto di violenza e repressione, tortura e morte, garantite da un sistema penale malato e servi armati.
Siamo qui oggi anche per i troppi massacrati e soffocati nelle nostre Città come Riccardo Magherini, Federico Aldrovandi, Arafet Arfaoui o i torturati nelle caserme come i tanti Giuseppe Uva, o i morti sparati a freddo come i tanti Dino Budroni e Davide Bifolco.

Tutti uccisi più volte, dalle forze dell’ordine, dallo Stato, dalla stampa, dall’opinione pubblica, dalla mala giustizia.

L’impunità è l’unica loro risposta a tutto questo: assoluzioni, archiviazioni, omertà, depistaggi, insabbiamenti, finte condanne, di uno Stato che seguita a reprimerci e ad autoassolversi nei continui abusi di potere commessi.

Uno Stato ostinato nelle sue azioni di “ordine e disciplina” per i carcerati, per gli Ultras, per i poveri, per chi lotta, e ostinato a garantire impunità per i sui sicari fuori e dentro le carceri.

Siamo stanchi di sentir parlare di mele marce o casi isolati. La tortura di Stato è ovunque. La divisa è abuso, è prepotenza, è vigliaccheria, è parte integrante di un sistema marcio che inizia con la violenza dei diritti negati e leggi ingiuste, continua con la violenza del suo braccio armato e finisce con le assoluzioni.

Il carcere è la fortezza invalicabile degli abusi, è l’emblema di un sistema di controllo sociale e repressione che ha prodotto negli ultimi 19 anni 2.987 morti, di cui 1.090 suicidi.
103 morti con 37 suicidi solo nel 2019.
PRATICAMENTE TUTTI IMPUNITI.
Una lista infinita di tortura e morte.

Da sempre il carcere rappresenta lo spazio in cui lo Stato tende a confinare il più lontano possibile dagli occhi della società gli abusi più atroci. La collocazione fisica, fuori e lontano dalla società, rispecchia esattamente quella che, di fatto, è la funzione che viene tacitamente data al carcere e da chi vi opera all’interno: allontanare, emarginare, dimenticare ed annientare.
Annientare dentro e fuori, durante le detenzione e anche dopo, al momento del reinserimento nel tessuto sociale. Reinserimento che di fatto, poi, non avviene mai, perché il marchio indelebile dato dal carcere rimane addosso per sempre.
Sempre che dal carcere ne esca vivi.

Attraverso lo strumento del carcere lo Stato pone in essere ogni misura che possa portare a reprimere e distruggere la persona, e lo fa, non solo privando la persona stessa della libertà fisica e di movimento, ma anche creando all’interno del carcere condizioni tali da rendere impossibile la sopravvivenza: sovraffollamento, condizioni igieniche da epidemie, negazione dei diritti più basilari come quello dell’acqua potabile o delle cure mediche, la somministrazione di psicofarmaci, l’atroce tortura dell’isolamento nel 41 bis come in altri regimi differenziati speciali, il martirio delle celle zero portato alla luce da varie testimonianze di carcerati picchiati e rinchiusi lì dentro per farli “calmare”.

Vivere in carcere non è vivere, è sopravvivere in una morte in vita. E troppo spesso morire. In un paese in cui si pensa che la pena di morte sia abolita da secoli, è invece il carcere stesso ad essere pena capitale.
Il carcere, infatti, è un microcosmo a parte, INVALICABILE, INCONTROLLABILE SOCIALMENTE, con regole e regolamenti propri, con vessazioni e sopraffazioni interne di cui nessuno al di fuori del carcere sa niente, perché tra le mura penitenziarie tutto resta magistralmente arginato e secretato da quello stesso spirito di corpo che ritroviamo anche nelle forze dell’ordine sulle strade e ovunque.

L’abuso commesso all’interno di un carcere è un abuso che raramente emerge all’esterno, proprio perché le alte mura che separano i detenuti dal mondo sono uno dei filtri più potenti ed efficaci che lo Stato ha a disposizione per abusare del proprio fittizio potere rieducativo, per creare ampie frange di esclusione e marginalità sia all’esterno che all’interno del carcere e per esercitare tutto il proprio potere coercitivo.
Non è un caso che gli ultimi decreti sicurezza abbiano riproposto vecchi reati del passato, che erano depenalizzati da anni, e che prevedano sempre sistematicamente l’aumento delle pene, in particolare quelle detentive, come strumento repressivo principale. L’obiettivo per queste leggi, è quello di emarginare ed annichilire la persona, e il carcere da sempre è il mezzo più efficace per farlo.
In questo clima, e in questo contesto quindi, la conseguenza più immediata è che chi opera in questo microcosmo lontano da tutto e tutti si senta non solo legittimato ad abusare della propria qualifica, ma anche tutelato. Con l’ ulteriore, drammatica conseguenza, che di abusi, suicidi e omicidi in carcere, non si parla quasi mai. Che raramente si aprono processi penali a carico di appartenenti alla polizia penitenziaria e che, per omertà e coperture, molto spesso ogni accenno di indagine finisce nel vuoto con le archiviazioni delle Procure.

Tutto questo è insopportabile e deve finire. Uniti, detenuti e solidali, dobbiamo portare avanti la lotta contro le carceri, contro la tortura, contro ogni tipo di abuso, contro questo Stato che ci sta facendo affondare in un mare di merda.

Agitiamoci fuori per tenere viva la gente dentro, agitatevi dentro per contagiarvi di lotte e speranza, la solidarietà e la connessione tra le varie battaglie è la nostra arma più potente.

Acad-Onlus

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